Amazzonia – Il cardinale Schönborn ed il grido del Sinodo: “conversione ecologica per salvare il mondo”
L’arcivescovo di Vienna: “L’uomo da solo non ha la forza di evitare la distruzione del pianeta”.
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«In questi giorni sto rileggendo il profeta Geremia.
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Continuava a dire: andiamo diritti verso il disastro, convertitevi, cambiate vita, c’è ancora tempo. Ma non gli hanno creduto». Il cardinale Christoph Schönborn, 74 anni, arcivescovo di Vienna e grande teologo domenicano, siede assorto nell’aula Paolo VI prima della sessione pomeridiana del Sinodo sull’Amazzonia.
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Il Papa lo ha nominato nella commissione per la stesura del documento finale che sarà votato sabato. Il cardinale abbassa lo sguardo sui suoi appunti: «Ciò che mi colpisce è che il grido più drammatico sia venuto dagli esperti».
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E cosa vi hanno detto, eminenza?
«Nell’ultimo degli interventi in aula, il grande climatologo Hans Schellnhuber ha detto, semplicemente: “L’evidenza scientifica è che la distruzione della foresta amazzonica è la distruzione del mondo”. Così, secco.
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E questa chiamata drammatica è ciò che questo Sinodo vuole e deve dire a tutto il mondo, anzitutto al mondo industrializzato, ricco».
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Come?
«Un vescovo amazzonico ha osservato: voi europei volete che noi proteggiamo la foresta, ma non volete cambiare il vostro stile di vita. Se c’è un filo rosso nel documento finale è la parola “conversione”, tante volte ripetuta da Papa Francesco. Conversone ecologica, conversione culturale, conversione sociale, conversione pastorale…».
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Nel testo greco dei Vangeli conversione è «metanoia», alla lettera significa «cambiare il modo di pensare»…
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«Proprio così. La conversone comincia con il pensare e si mostra nell’agire. L’urgenza della conversione ecologica, la tutela del creato, è inseparabile da altre due urgenze che ha rilevato questo Sinodo. La protezione delle minoranze, anzitutto.
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La situazione dei popoli indigeni e la loro sorte minacciata è stato un grande tema dell’assemblea. E anche in questo caso, come diceva Schellnhuber, l’Amazzonia è il “test case” per tutto il pianeta.
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E poi c’è il terzo grido».
Quale?
«La conversione sociale, la giustizia sociale. La situazione di una economia che distrugge e uccide, come aveva detto Papa Francesco, e uccide letteralmente. Un vescovo locale ci ha raccontato di un villaggio che si chiama “Trecentos”: ha scoperto che questo nome ricorda trecento lavoratori rurali assassinati dal proprietario dell’azienda che li piegava come schiavi.
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C’è una economia agraria ed estrattiva che non ha alcun rispetto né della natura né delle persone».
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Molti negano i cambiamenti climatici o sono indifferenti. Cosa può fare la Chiesa?
«Anche nel Sinodo, dopo l’intervento del professor Schellnhuber, alcuni dicevano: mah, drammatizza…
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Non li accuso, è umano, anch’io sento in me stesso questo pensiero, “non può essere così drammatico!”. Per questo bisogna arrivare ad una quarta conversone, quella pastorale: la sfida dell’evangelizzazione.
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Perché senza il senso di Cristo, della sua Croce e resurrezione, senza la forza del Vangelo non avremo la forza di cambiare vita».
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Sta dicendo non si può trovare altrimenti?
«Sì. Umanamente non avremo mai la forza di convertirci perché comporta sacrifici, rinunciare ad un certo stile di vita, scegliere la solidarietà. Tutto questo non è possibile se io sono il centro del mondo. Il Vangelo mi dice invece che l’altro, il povero e il bisognoso, è la porta della salvezza».
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Cosa direbbe a quei cattolici conservatori che paventavano un cedimento del Sinodo agli «idoli pagani»?
«Il cristianesimo nella sua storia ha sempre integrato. Purificato e integrato».
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Si è parlato molto dell’ordinazione sacerdotale di «viri probati», uomini anziani sposati, per compensare la mancanza di clero. La maggior parte dei padri sinodali amazzonici lo chiede, ci sono d’altra parte forti resistenze. .
Che succederà?
«Credo se ne parlerà in modo prudente: prima dovete cominciare con i diaconi permanenti, poi si vedrà. Quella dei diaconi permanenti è una possibilità che esiste da sempre nella Chiesa, rilanciata dal Concilio Vaticano II. A Vienna, per esempio, ne abbiamo 180, la maggior parte sposati, e prestano servizio nelle parrocchie e nelle comunità».
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E le donne?
Escluso dai Papi il sacerdozio – «quella porta è chiusa», ha ripetuto Francesco – si parlava di diaconato o di «ministeri»… «Il tema delle donne diacono è allo studio, ci sono posizioni diverse su cosa fosse il diaconato femminile nei primi secoli cristiani, il magistero darà una riposta.
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Ma intanto io vedo la realtà concreta. In una regione come l’Amazzonia ci hanno spiegato che la maggior parte delle comunità è retta da donne.
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Ma sempre più, anche altrove, le comunità sono pienamente aperte alle donne anche in ruoli di responsabilità. A Vienna ne abbiamo tante in ruoli di direzione, ci sono le assistenti pastorali che presiedono la liturgia della parola nelle chiese dove non c’è la messa domenicale, donne che celebrano i funerali, catechiste…
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Del resto il parroco è il responsabile principale ma non è un monarca: c’è un lavoro di équipe. Nella formazione dei futuri sacerdoti sarà importante che fin dall’inizio imparino come il servizio presbiterale sia di comunione.
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L’esperienza dell’Amazzonia, in questo senso, è esemplare».
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Articolo pubblicato sul Corriere della Sera, consultabile in forma integrale tramite il seguente link:
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