Arresto ed espatrio di Alma Shalabayeva: Il Corriere rivela che il Ministro Alfano era informato
Dagospia riporta una rivelazione del Corriere della Sera, che desta non poche preoccupazioni.
Noi, per dovere di cronaca, ve la riportiamo per esteso, così come pubblicata da www.dagospia.com al seguente Link: http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/1-ok-il-ministero-degli-interni-guidato-da-alfano-sapeva-del-rapimento-concordano-sia-59436.htm
Fiorenza Sarzanini per il Corriere della Sera:
Il gabinetto del ministro Angelino Alfano ha avuto un ruolo centrale nella vicenda culminata il 31 maggio scorso con l’espulsione dal nostro Paese di Alma Shalabayeva e di sua figlia Alua. E il resto lo hanno fatto i vertici del Dipartimento di Pubblica Sicurezza, che si sono attivati su richiesta dell’ambasciatore del Kazakistan in Italia, Andrian Yelemessov. L’indagine disposta dal governo e affidata al capo della polizia Alessandro Pansa arriva dunque ai piani alti del Viminale.
E dimostra che anche i funzionari di rango della Farnesina furono coinvolti nella procedura, durata appena due giorni, che si concluse con il rimpatrio della moglie del dissidente Mukhtar Ablyazov a bordo di un jet privato pagato proprio dalle autorità kazake. Come è possibile che lo stesso Alfano e la titolare degli Esteri Emma Bonino non siano stati tempestivamente informati?
E soprattutto, se davvero hanno saputo che cosa era accaduto soltanto il 31 maggio scorso come continuano a dichiarare, che cosa hanno fatto sino ad ora? Perché hanno ripetutamente assicurato che «le procedure sono state rispettate» salvo essere poi costretti a fare marcia indietro e revocare il provvedimento del prefetto? Proprio per rispondere a questi interrogativi bisogna tornare al 27 maggio scorso e ricostruire la catena di errori, omissioni, possibili bugie che segna questa drammatica storia.
Proprio quella sera, dopo aver cercato di contattare inutilmente il ministro Alfano, l’ambasciatore Yelemessov chiede e ottiene un appuntamento con il capo di gabinetto Giuseppe Procaccini. L’obiettivo appare chiaro: sollecitare l’arresto di quello che viene definito «un pericoloso latitante, che gira armato per Roma e si è stabilito in una villetta di Casal Palocco».
Secondo la versione ufficiale, il prefetto spiega che non si tratta di affari di sua competenza e dunque propone al diplomatico di affrontare la questione con il Dipartimento di pubblica sicurezza. Il contatto viene attivato subito e la pratica finisce sul tavolo del capo della segreteria del capo della polizia, il prefetto Alessandro Valeri. La mattina successiva, è il 28 maggio, l’alto funzionario incontra l’ambasciatore e il primo consigliere Nurlan Zhalgasbayev. Di fronte a loro contatta la questura di Roma, sollecita un intervento immediato.
Il caso viene affidato al capo della squadra mobile Renato Cortese che si muove sempre in accordo con il questore Fulvio Della Rocca. Insieme incontrano i due diplomatici kazaki. Le consultazioni di quelle ore coinvolgono anche l’Interpol, che dipende dalla Criminalpol e dunque dal vicecapo della polizia Francesco Cirillo. Sono proprio i funzionari di quell’ufficio a trasmettere ai colleghi il mandato di cattura internazionale contro Ablyazov. L’uomo – risulta dal provvedimento – è accusato di truffa, ricercato per ordine dei giudici kazaki e moscoviti.
Le massime autorità di polizia concordano dunque sulla necessità di intervenire con un blitz nella villetta di Casal Palocco. Possibile che nessuno si sia premurato di scoprire chi fosse davvero questo Ablyazov? È credibile che nessun accertamento abbia consentito di scoprire che si trattava di un dissidente che aveva già ottenuto asilo politico dalla Gran Bretagna?
Il blitz scatta poco dopo la mezzanotte del 28 maggio. Sono una quarantina gli agenti coinvolti. Finisce come ormai è noto, visto che in casa non c’è Ablyazov e gli agenti trovano soltanto sua moglie e la figlioletta che dorme. Viene avviata la procedura di espulsione della donna che però fa presente di godere dell’immunità diplomatica grazie al passaporto rilasciato dalle autorità della Repubblica del Centroafricana. L’ufficio Immigrazione chiede conferma di questa circostanza al Cerimoniale della Farnesina che il 29 pomeriggio invia un fax di risposta che nega questo privilegio. «Non avevamo accesso a questi dati perché la signora aveva fornito il suo cognome da nubile», hanno fatto sapere ieri dal ministero degli Esteri.
In realtà la comunicazione trasmessa dal capo della Cerimoniale Daniele Sfregola contiene altre informazioni sullo status della signora e dunque appare almeno strano che non si fosse a conoscenza della sua particolare condizione di pericolo e della necessità di accordarle protezione. In ogni caso, dopo il rimpatrio della signora e della bambina, è proprio alla Farnesina che l’avvocato Riccardo Olivo si rivolge per chiedere assistenza. Bonino viene dunque a conoscenza di ogni aspetto della vicenda. E contatta Alfano.
La ricostruzione effettuata in queste ore certifica che quantomeno dal 31 maggio, quindi poche ore dopo il decollo del jet privato, i due ministri sono perfettamente informati di quanto accaduto. Ma è davvero così? Possibile che il prefetto Procaccini non abbia ritenuto di dover relazionare ad Alfano il motivo della visita dell’ambasciatore kazako, visto che l’istanza iniziale sollecitava un incontro proprio con il ministro?
E come mai il prefetto Valeri, dopo aver attivato la questura e di fatto concesso il via libera all’intervento sollecitato a livello diplomatico, decise di non parlarne con il prefetto Alessandro Marangoni, all’epoca capo della polizia reggente? Perché non lo fece il suo vice Cirillo? Ed è credibile che non ci fu alcun contatto successivo con la Farnesina, viste le relazioni intessute con l’ambasciatore kazako a Roma?
A questi interrogativi dovrà rispondere l’indagine condotta dal prefetto Pansa, anche tenendo conto che il 3 giugno fu proprio il prefetto Valeri a sollecitare una relazione per ricostruire ogni passaggio della vicenda, che gli fu trasmessa poche ore dopo dal questore Della Rocca. Il capo della polizia dovrà individuare le responsabilità dei tecnici, ma questo non sarà comunque sufficiente a chiarire i risvolti politici della vicenda.
In questi 40 giorni trascorsi dopo la partenza forzata della signora Shalabayeva e di sua figlia, è infatti sempre stato assicurato che non c’era stata alcuna irregolarità. Ma nonostante ciò, due giorni fa il governo è stato costretto a revocare il provvedimento di espulsione, assicurando che avrebbe fatto ogni sforzo per far tornare la donna e la bambina in Italia. Una presa di posizione forte, arrivata però troppo tardi.
Immagini tratte da www.dagospia.com